Martín Kovensky
Martìn Kovensky nasce a Buenos Aires, Argentina, nel 1958.
Artista eclettico sviluppa la sua opera nella trasposizione da un genere all’altro.
Lavora simultaneamente in diverse direzioni, passando dalla pittura tradizionale al disegno mediatico, dalla fotografia all’intervento digitale delle immagini.
Nel 1978 comincia a realizzare esposizioni e pubblica i suoi primi disegni a Sao Paolo, Brasile. Viaggia a New York, dove studia alla Art Student’s League.
Di ritorno a Buenos Aires partecipa al movimento culturale underground dell’epoca e realizza diverse mostre personali e collettive in gallerie e musei del paese. I suoi lavori figurano in diverse pubblicazioni argentine, messicane e brasiliane.
Negli anni ’90 continua a sviluppare la sua opera, periodo nel quale produce numerosi oggetti e disegni. Cura inoltre la grafica della rivista Pàgina/30 sperimentando la generazione di immagini tramite il supporto digitale, disciplina nella quale è considerato pioniere.
È stato docente di Grafica all’Università Nazionale di Buenos Aires e collaboratore per diversi giornali come Tiempo Argentino, El Porteño, Pagina/12, ecc.
Nel 1999 la casa editrice La Marca, pubblica il libro “Kovensky 4.0 “dove l'artista presenta una retrospettiva della sua opera realizzata tra il 1983 e il 1999.
Nel 2002 il Fondo de Cultura Economica del Messico pubblica “Limbo un relato en imàgenes”, un libro dove l’artista ritratta mediante disegni, testi e fotografie la crisi socio-economica che ha travolto l’Argentina.
Attualmente lavora come disegnatore per il giornale La Naciòn, il più tradizionale quotidiano nazionale. Inoltre, svolge l’attività di docente e sviluppa il suo lavoro quale artista plastico.
ALTRI PARADISI
Credo sia evidente che la nostra civiltà si trovi di fronte a un bivio. Come dice il filosofo brasiliano Leonardo Boff: “Bisogna assumere una logica di sinergia e rispetto verso tutti gli esseri. A partire da una società industriale succhiatrice di risorse naturali bisogna sfociare in una società di sostentamento di tutti i tipi di vita. Solo così possiamo continuare su questo pianeta, che dà inequivocabili segnali di stress e disorganizzazione.”
Trovarsi di fronte a un bivio presuppone capacità di elezione, e trent’anni di lavoro come artista mi hanno insegnato che, in principio, non sappiamo esattamente le ragioni profonde che ci portano a scegliere un determinato tema, o ad adoperare certe forme o simboli. Iniziamo il processo creativo e alla conclusione, scopriamo altre questioni, altri significati e forse, allora, capiamo completamente il perché del tema scelto.
In questo modo ho scelto il tema della biodiversità, scoprendo poco a poco di non essere l’unico. Ho cominciato a vedere opere di altri artisti, l’uso d’immagini di animali e piante. Dipinti, fotografie, installazioni o video, poco importa. Sembrerebbe quasi che tutti noi fossimo chiamati a costruire una gigantesca arca di Noè visiva.
Forse intuiamo qualche diluvio… Forse questa volta non sarà acqua… Chi può dirlo?
Diventa ironica l’idea che questo nudo primate che siamo, espulso del Paradiso dell’animalità, abbia cercato di coprirsi meno con i vestiti che con il potere. Finalmente, il nostro sogno si è avverato: quasi tutta questa vita diversa ed incredibile che ci ha sosotentato fin qui dipende da noi. Dobbiamo, quindi, decidere cosa fare con i resti del Giardino dell’Eden che è il nostro mondo arido e sconfortante. Possiamo ancora conservarlo e riviverlo. Riscopriamoci come specie intelligente e responsabile.
Le opere di questa mostra hanno una vocazione di serenità, di relazione ludica con la natura. Sono un intento di riappropriazione poetica della meraviglia di condividere la vita con altre specie e con le nostre generose benefattrici: le piante.
Al di là di ogni considerazione estetica sulle opere, mi incoraggia il desiderio che questa mostra possa contribuire –nel suo piccolo-
ad accendere quel pulsante che ci connette con il mondo, che ci rivela come una sua parte casuale, passeggera e desiderosa di esistere, generando un nuovo paradigma d’armonia con la natura.
Siamo i suoi figli, non i suoi proprietari.
Martín Kovensky, agosto 2008.