Felipe Gimenez
Felipe Gimenez
(Mar del Plata, Argentina 1963)
Vive a Sierra de los Padres, Argentina.
Selezione mostre personali e collettive
2019
Performance al Parco Ciani, LongLake Festival Lugano, Svizzera
Realizzazione del progetto pittorico contro lo sfruttamento del lavoro minorile per l'Organizzazione Internazionale del Lavoro
Fiera Art&Breakfast, Malaga, Spagna
Pequeñas ventanas, Espacio Yucas, Benalmadena, Spagna
2018
Collezionista di Momenti, Galleria Doppia V, Lugano, Svizzera
Postales Paulistas, Espacio Fracarolli, Sao Paolo, Brasile
Nuevos vientos, Galleria Grillo Arte, Punta del Este, Uruguay
2017
Todas son historias de amor, Galleria Carilò Arte, Argentina
Contemporàneo, Buenos Aires, Argentina
Dialogos con Antonia Guzmàn, Ambasciata Argentina a Washington, Stati Uniti
2016
Volver, Museo Casa Bruzzone, Mar del Plata, Argentina
Non tutti i mondi sono uguali, Galleria Doppia V, Lugano, Svizzera
Felipe Gimenez Off, Galleria Keller Fine Art, Washington, Stati Uniti
2015
Tiempos Compartidos, Centro Cultural Borges, Buenos Aires, Argentina
Acredita que acontece, Plataforma Lavarden, Rosario Argentina
Sucesos argentinos, Consolato Argentino a New York, Stati Uniti
Direttore del progetto Lucecitas de colores, Ministero di Cultura della Nazione, Argentina
2014
Protagonista de peliculas invisibles, Dain Usina Cultural, Buenos Aires, Argentina
Concerto di pittura, Galleria Doppia V, Lugano, Svizzera
Pequeño formato de grandes historias, La Galeria, Lüchow, Germania
Acredita que acontece, Galleria Quadro, Buenos Aires, Argentina
2013
Todas son historias de amor, Rivoli Beauty Art Gallery, Ginevra, Svizzera.
ArteBa, Galería Matilde Bensignor, Buenos Aires, Argentina.
Si se acomodan entran todos, Plataforma Lavarden, Rosario, Argentina.
2012
In transito, Galleria Doppia V, Lugano, Svizzera.
2011
BAP, Biennale di pittura, Chaco, Argentina.
Encuentros, MAT Museo de Arte Tigre, Buenos Aires, Argentina.
2010
Todas son historias de amor, Centro Cultural Roxy, Mar del Plata, Argentina.
Gimenez y El Tigre, Galería Boulevard Saenz Peña, El Tigre, Argentina.
Postales del sur, La Galeria, Lüchow, Germania.
2009
Fondo Rojo y Tuti Fruti, La Normandina, Mar del Plata, Argentina.
Encuentros de Cocina, Centro Cultural Recoleta, Buenos Aires, Argentina.
Parola di madre / Parola di padre, Galleria Doppia V, Lugano, Svizzera.
Lo que dijo mi padre / Lo que dijo mi madre, Espacio Ubik, Valencia, Spagna.
Pastillas de colores, Consorcio de Arte, Buenos Aires, Argentina.
2008
Gimenez en Cabrales, Espacio Cabrales, Mar del Plata, Argentina.
Expotrastienda, Fiera d’arte, Buenos Aires, Argentina.
Y si solo fueramos hormigas?, Ayuntamiento de Benicàssim, Spagna.
Retrospectiva, Galería Marieta, Valencia, Spagna.
25 años de Democracia, Casa Rosada, Buenos Aires, Argentina.
2007
Art Madrid, Fiera d’arte, Madrid, Spagna.
Rivales complementarios, Galería Isidro Miranda, Buenos Aires, Argentina.
De vuelta por el barrio, Espacio de arte Normandina, Mar del Plata, Argentina.
Tutto è questione di tempo, Galleria Doppia V, Lugano, Svizzera.
Retrospectiva de dibujos, Galería Marieta, Valencia, Spagna.
2006
Cow Parade Buenos Aires, Argentina.
Exposiciòn colectiva, Galería Vértice, Oviedo, Spagna.
Galería Consorcio de Arte, Buenos Aires, Argentina.
Art Bogotá, Fiera d’arte, Bogotá, Colombia.
2005
Un mondo al microscopio, Galleria Doppia V, Lugano, Svizzera.
Es hora de encontrarse, Galería Marieta, Denia, Spagna.
Gente como uno, Galería Wussman, Buenos Aires, Argentina.
2004
Els penjats de Valéncia, Galería Marieta, Valencia, Spagna.
ArteBa, Fiera d’arte contemporanea, Buenos Aires, Argentina.
Una vuelta por San Isidro, Galería Isidro Miranda, Buenos Aires, Argentina.
Hablando del tiempo, Galería Taller-Montcada, Barcellona, Spagna.
2003
Gimenez en la orilla, Lido di Caslano, Svizzera.
De corbatas y margaritas, Galería Taller-Montcada, Barcellona, Spagna.
2002
Caramelos Surtidos, Galleria Doppia V, Lugano, Svizzera.
14 Kilos de arte, Galería Taller-Moncada, Barcellona, Spagna.
De Gatos y Perros, Corralón de Arte, Mar del Plata, Argentina.
UN NIDO SULL'ALBERO PIÙ ALTO
di Barbara Paltenghi Malacrida
Definire la pittura di Felipe Gimenez un mondo virtuale, nell’accezione di simulazione del dato effettivo, sarebbe un errore piuttosto grossolano. Quello che si affaccia, a prima vista e con fragorosa sincerità, potrebbe in effetti sembrare una realtà simulata: eppure ne è sostanzialmente l’opposto, perché il suo immaginario non altera i contenuti in quanto tali, non li mistifica né li manipola ma corre parallelo al quotidiano, lo sostituisce come un bel sogno ai momenti bui, lo alleggerisce come una risata nelle giornate difficili, ne costituisce il succo e la polpa migliori, quello che resta dopo aver spremuto tutto e buttato la buccia.
Rifugiarsi nel lato bello delle cose equivale solitamente a nascondersi dalle bruttezze della vita. Questo è stato, senza dubbio, il punto di partenza del viaggiatore Gimenez, ma l’approdo cui è giunto oggi ne sposta l’approccio a un livello decisamente più filosofico: è esaltazione del lato pulito dell’esistenza, è volgere lo sguardo alle circostanze con occhi che sanno guardare oltre la fatica delle apparenze.
Se la sua arte è rimasta la stessa nel dato esteriore ed estetico, sono le intenzioni e gli stimoli che la compongono ad aver subito negli anni una trasformazione sostanziale. Dipingere quando tutto attorno sembra precipitare è dare al gesto creativo un ruolo ben preciso: è farne un nido sull’albero più alto, al sicuro dagli attacchi che la storia sa sferrare in maniera brutale. Un’infanzia difficile, la crisi di una nazione intera prima e la crisi mondiale dopo l’attacco delle torri gemelle poi, la tragica scomparsa del padre e la sofferenza personale che ne è scaturita sono tutti fattori importanti per comprendere le ragioni che hanno spinto un uomo dotato di profonda sensibilità a cercare altrove un senso, un’opzione e una consolazione a tanto dolore. All’inizio del suo percorso Felipe Gimenez ha dunque consciamente cercato (e trovato) nella pittura, in un linguaggio sintetico e di rara poesia, un mondo alternativo composto da piccoli personaggi innocui, da sentimenti autentici, da un segno che ripercorrendo le tracce infantili porta sulla tela figurazioni lontane dalla scrittura adulta. Un universo interiore come via di fuga dove incontrare un IO ancora illeso dalle ferite della vita; un compagno d’avventura, un alleato.
Ma vederne solo quest’aspetto sarebbe non solo riduttivo ma anche falsificatorio, perché se la traccia dell’uomo ispira le orme dell’artista, l’evoluzione personale dell’uomo Gimenez ha senza alcun dubbio condizionato non tanto la sua arte quanto il suo modo di approcciarsi ad essa: non più un rifugio ma un mezzo per esaltare gli aspetti più leali di un presente che ha saputo liberarsi dalle catene
di un passato complesso. La messa in luce del dato benevolo e amabile delle cose, una volta condizione necessaria per allontanarsi dalla loro inevitabile inflessibilità, oggi si è trasformata nella lente perfetta attraverso cui filtrare l’intensità di emozioni del tutto reali.
“In questi ultimi dieci anni ho cercato di ricostruirmi, di tornare a credere nell’uomo”: la confidenza che lo stesso artista consegna alle parole di una recente chiacchierata non fa che confermare gli obiettivi della sua ricerca. La tenacia di un’espressione che resiste alla forza dirompente dell’ordinario, ai folli meccanismi di una quotidiana corsa ad ostacoli.
Se a livello iconografico gli stilemi permangono immutati, è a livello compositivo che l’evoluzione della pittura di Felipe Gimenez mostra nel tempo i segni di uno sviluppo nuovo: negli ultimi lavori la presenza di elementi che compongono l’immagine si è fatta fitta, quasi densa. Come nella tradizione messicana dei murales i formati si sono allargati per riuscire a contenere quante più figure possibili, una ressa che si sovrappone, si mischia, si lascia cullare da linee ondulate dal forte ritmo dinamico. In altre opere ancora i corpi si allungano perdendo proporzione, sembrano snelle libellule a filo d’acqua, aquiloni leggeri in balia della corrente: il volo, che ha sempre caratterizzato il lessico artistico di Gimenez, da fattore comprimario diventa protagonista. E chi resta a terra ha lo sguardo comunque rivolto verso l’alto pur risultandone schiacciato anziché fieramente eretto. Come se la vera natura dell’uomo libero fosse innalzarsi nel vento e non restare saldamente ancorato al suolo.
Le storie (perché nelle opere di Felipe Gimenez c’è sempre un forte approccio narrativo) si sviluppano su più livelli, una sorta di moderno geroglifico che all’alfabeto torna a sostituire il segno, il simbolo che racchiude più parole, più frasi, più pensieri. Non c’è messaggio universale, non un codice segreto da svelare e nemmeno i rigidi paradigmi sintattici che ogni idioma necessariamente comporta per essere comprensibile a tutti: al contrario, la libertà interpretativa è allargata alla sfera sensoriale e alle esperienze di ognuno attraverso la modulazione del proprio vissuto, così da costruire, ogni volta, una storia originale e mai uguale a se stessa.
La parola scritta come parte integrante dell’opera è una delle conquiste del processo creativo di Gimenez negli ultimi anni. Se all’inizio erano piuttosto i titoli (lunghi, complessi, fortemente descrittivi) a fornire gli estremi riconoscibili per l’interpretazione della pittura e dei suoi significati, ora i vocaboli scendono dalla didascalia direttamente sulla tela, in soluzioni estetiche di grande effetto visivo ed emozionale. Ma il risultato di tutto quel bla bla solo percepito, non scritto ma disegnato, imitato nei segni ma senza riconoscibilità reale, è conferire alle figure in primo piano uno spessore ulteriore nel vuoto che le circonda: ancor più isolate nella loro intimità, ancor più paradossalmente silenziose nel mormorio che le avvolge. Talvolta i segni si limitano a iniziali maiuscole, la parola scompare e restano solo lettere sparse e galleggianti, richiami ubbidienti ma confusi, simboli vuoti di una civiltà che ha fatto ormai della comunicazione una necessità non sempre utile, fulcro imprescindibile di obbligatoria e collettiva partecipazione agli eventi.
Nel panorama dei contenuti l’amore, nella sua simbologia “a cuore”, è continuativamente presente. E’ uno di quegli aspetti del primigenio codice compositivo che l’artista non ha modificato, è la catena indissolubile che governa il mondo, condizionando legami come il collante nelle antiche miscele di colori. Le figure multiple quasi non si toccano, si vivono accanto, si sfiorano appena, una dopo l’altra in fila indiana come passeggeri di un trenino immaginario in perenne attesa della fermata successiva. Le coppie, invece, appaiono sempre in perfetta aderenza, mano nella mano, un organismo unicellulare quale sintesi estrema dell’idea di famiglia. Un uovo che per crescere ha bisogno di un guscio piccolo ma resistente.
Nelle opere plastiche le grandezze hanno assunto proporzioni più consistenti: dalle teche degli inizi, figlie di lavori su tela da cui i personaggi sembravano essere stati rapiti e poi messi in vetrina, si è giunti oggi a vere e proprie sculture dal forte impianto tridimensionale. L’intera costruzione formale trova comunque nel colore un ulteriore elemento di forza: le pennellate spesse ricoprono le superfici come patine bronzee, ne esaltano i contorni riducendo i dettagli della composizione a favore di un più ampio discorso volumetrico. Il risultato è un nucleo di figure colte in atteggiamenti pensosi e posture familiari, che vivono l’ambiente in maniera così disinvolta da sembrare appartenenti a un contesto domestico e confidenziale, gregari di una gita dal sapore conviviale.
“Los mexicanos descienden de los aztecas, los peruanos de los incas y los argentinos de los barcos.” (“I messicani discendono dagli aztechi, i peruviani dagli incas, gli argentini dalle navi”).
C’è sempre un fondo di verità nei detti popolari, nelle parole dei proverbi così spesso ripetute da divenire fatti assoluti. A volte il contenuto di quelle informazioni perde nel tempo il suo significato, arricchito da approfondimenti che ne ricollocano gli estremi con proporzioni storiche e scientifiche tali da ribaltarne, o alterarne in parte, il messaggio originario. Ma il passato di emigranti, le radici europee di molta gente argentina continuano a far parte di un presente multiplo, multiforme e in continuo divenire, allargandone gli orizzonti in avanti e ritrovando, all’indietro, agganci culturali che il futuro non potrà mai cancellare. Questo è il bagaglio di un popolo, questo è il bagaglio di un artista che dal popolo trae continua e quotidiana ispirazione. Questo è il bagaglio che ogni viaggiatore, emigrante o turista che sia, si porta dentro a ogni sbarco: la memoria di quello che era prima di partire.
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UN MONDO AL MICROSCOPIO
di Barbara Paltenghi
Un rosso vivo accende l’aria di una luce magica – come una lanterna in una sera di fine estate, delimita i contorni delle cose sfumandone le asprezze. Su pavimenti a scacchiera si gioca la partita quotidiana degli uomini; nei cieli bianchi da mattino invernale l’aria sembra sospesa e rarefatta.
Questo non è che il biglietto d’entrata all’opera di Felipe Gimenez: lo spettacolo vero e proprio si compone di uomini, donne, animali, figure irriverenti, divertenti e divertite che simbolicamente ci raccontano di un mondo che non c’è più, o che non c’è mai stato, testimoni di un messaggio spesso caustico e polemico nelle titolazioni dalla sottile logica critica.
Linee ridotte all’essenziale e uno stile “antigrazioso” vicino al linguaggio dell’infanzia rendono immediato l’impatto della forma; lo spazio è spudoratamente bidimensionale, la profondità prospettica è latitante, come inutile - forse troppo vicina al dato reale per adattarsi a una comunicazione tanto ironica quanto fortemente allusiva.
Come in un sogno, o in una fiaba, le piccole figure spiccano il volo senza ali, galleggiano sospese a filo d’acqua su sfondi solo apparentemente irreali. E sulla tela emerge una pittura che poco condivide con la più classica forma d’arte per avvicinarsi all’illustrazione dipinta, al racconto per immagini, a una “vignettistica del pennello”. Ogni piccolo attore vive lo spazio come se fosse la tessera di un mosaico: ogni personaggio racconta una storia e questa si affaccia alla successiva in una sequenza intimamente poetica, sulla quale lo sguardo - come in un cartone animato - scorre dapprima veloce per poi cadere alla fatale tentazione del dettaglio.
Con straordinaria abilità evocativa Gimenez estrapola dal proprio immaginario affettivo un inedito e anacronistico romanticismo; parallelamente la storia recente della sua Argentina e le diverse realtà umane con le quali è, di volta in volta, venuto in contatto riflettono una vena di satira mai amara ma pungente e precisa.
È la dimensione del gioco ad accomunare tutta la sua opera: ne è l’essenza intima, in una leggerezza di chagalliana memoria.
Agli acrobati, che sfidano la gravità con equilibrismi arditi e improbabili, si avvicendano gatti bianchi e neri dall’aspetto poco felino e uomini incravattati, schierati come una squadra di calcio o come uccelli in migrazione, o ancora ammucchiati l’uno sull’altro come cose, oggetti, rifiuti di una società che, però, ha ancora il coraggio di deridere se stessa.
Amore e gioco - la filosofia di Gimenez si svolge tutta tra questi due poli semantici ma non cade mai in un facile descrittivismo: i suoi miraggi estetici celano al proprio interno un cuore che pulsa, che parla per immagini.
E davanti a questo mondo al microscopio è difficile trattenere il sorriso.