Anna Stankiewicz
Nata nel 1968 a Olsztyn, Polonia.
Diplomata nel 1994 all’Accademia di Belle Arti di Lodz (PL), ottiene in seguito il PhD in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Varsavia.Vive e lavora a Lisbona.
Mostre personali
2018 Rituals, Galleria Doppia V, Lugano, Svizzera
2016 Okruchy, Scena X Gallery, Olsztyn, Polonia
2015 Jasno widze, Scena Margines, City Theater, Olsztyn, Polonia
2014 Koszary Dragonow, Olsztyn, Polonia
2013 Casa da Achada - Centro Mário Dionisio, Lisbona
Os mitos, sem querer, Centro Cultural do Cartaxo, Portogallo
2012 Ternura das Coisas, Fábrica Braço de Prata, Lisbona
Lisbon Upside Down,
Galeria Salgadeiras, Lisbona
Pocztowki spod Swiadomosci, Olsztyn, Polonia
In between, Fábrica Braço
de Prata, Lisbona
2009 Atelier 166, Estoril, Portogallo
Pois Café, Afama, Lisbona
2008 Amfilada Gallery, Olsztyn, Polonia
2006 Zaulek Gallery, Olsztyn, Polonia
2005 Ode to Red, Bean Bag Bohemia Gallery, Durban, Sudafrica
2003 City Centre of Culture Rynek, Olsztyn, Polonia
Barcos, Spiseloppen Gallery, Copenaghen, Danimarca
2002 Museum of Warmia and Mazury, Olsztyn, Polonia
2001 National Broadcast Gallery, Olsztyn, Polonia
1998 Polish – German Centre of Youth, Olsztyn, Polonia
Art Museum of Northern Jutland, Danimarca
1995 Association of Polish Professional Artists Gallery, Olsztyn, Polonia
1993 Dada Gallery, Lodz, Polonia
Principali mostre collettive
2017 19. Bienal de Cerveira, Portogallo
2015 18. Bienal de Cerveira, Portogallo
2013 17. Bienal de Cerveira, Portogallo
2011 Art for peace, Barcellona
Totem polaco, Lisbona
2010 Ouvindo Chopin, Casa de Santa Maria, Cascais, Portogallo
2008 City Art Gallery, Perugia
RITUALS
di Barbara Paltenghi Malacrida
Ci sono dettagli che legano il ricordo di ognuno al proprio passato: per alcuni sono odori o profumi, per altri ombre e paure, per altri ancora parole, sorprese, silenzi o sorrisi. Ci sono luoghi (reali o immaginari, poco importa) che tratteggiano questi dettagli come capitoli di un vissuto, dandogli uno sfondo e un’ambientazione, custodendo all’interno di un’area circoscritta l’emozione della rimembranza.
Nei lavori di Anna Stankiewicz lo spazio raccoglie il racconto: lo protegge, lo conserva, lo lascia libero di scorrere senza confini su più piani della composizione, accogliendo i protagonisti come oggetti da disporre in uno scenario, all’interno del quale ogni distanza prospettica ne rivela e sottolinea il ruolo espressivo. L’attenzione per il particolare, il contrasto cromatico, l’ambivalenza delle dimensioni e il rovesciamento delle proporzioni consentono all’artista di comunicare ben oltre l’immagine stessa: sono tutti elementi che usa, con abile maestria, per stabilire nessi e confronti, focalizzare situazioni e trasformare i diversi ingredienti della storia in strumenti al servizio della narrazione.
Nelle opere più strettamente naturalistiche, il paesaggio assume un ruolo centrale e si limita, spesso, alla sola stagione invernale: alberi spogli e senza foglie, fiocchi di neve a scandire cieli grigi e imbiancati, forme biomorfe appena tratteggiate. In queste scenografie atmosferiche l’inserimento delle figure (animali, umane, fantastiche) e di anomale strutture architettoniche connota le opere di grande suggestione: la natura si fa sogno, gli edifici esaltano proiezioni subcoscienti e gli esseri viventi si gravano di emblematici profili. Eppure, nonostante i riferimenti prettamente individuali, molti sono i legami intuibili con la storia dell’arte e della cultura universale, con tradizioni visive salde e condivise: dalla scuola di Cuzco al Surrealismo europeo, dalle incisioni rupestri ai repertori della favolistica.
Anna Stankiewicz riprende stilemi e situazioni e li “addomestica” secondo un proprio sentire: le attinenze private sono ovunque, quella che ci descrive è sempre, in molte maniere differenti, la sua storia. Ecco perché si tratta di un racconto generalmente al femminile, nel quale la donna svolge ruoli da protagonista nel suo essere icona e procreatrice, amore e rifugio. La personificazione di una fratellanza che è empatia, innanzitutto, ma anche familiarità. E a queste figure si legano (attraverso un dialogo muto e per nulla esplicito) gli animali, in un gioco ambiguo di scambi e inversioni: reali e irreali, travestiti o simulati, interpreti di una simbologia antica come nella mitologia classica. La natura, che tutto circonda, sparge una polvere impalpabile, quasi magica, che rende il confronto con la civiltà talvolta nostalgico, nel suo abbandono, talvolta estatico nel suo innalzarsi ascensionalmente. È l’accento dei colori a conferire alla rappresentazione un significato simbolico: nei grigi e nei toni pastello irrompe il rosso, a sottolineare il dramma; oppure il bianco, a enfatizzare il chiarore dell’innocenza.
Il carattere introspettivo di queste opere si dilata in contorni collettivi proprio nel suo non essere alienabile dall’esperienza: sia essa leggera e positiva, sia essa mortale e tragica. Come nei film di Wes Anderson o Peter Weir o nelle fiabe di Hans Christian Andersen (autori particolarmente amati dall’artista) il misticismo si fonde con l’ironia, la visione con la retorica. L’assenza di regole formali e di fonti immediatamente riconoscibili arricchisce il messaggio, lo complica: Anna Stankiewicz mette alla prova la nostra capacità di immedesimazione, i limiti della nostra utopia, alla ricerca di quel miraggio in cui riconoscere rituali arcani e manifesti.